© global-standard.org
Who MadeMy Clothes?
Chi produce quello che compri e indossi? E in quali condizioni?
Rispondere a queste domande è essenziale per assicurare un futuro migliore al sistema moda, a chi vi lavora e al nostro pianeta. La Fashion Revolution Week invita tutti noi a riflettere su questi temi ogni volta che facciamo le nostre scelte d’acquisto.
Dal 19 al 25 aprile 2021 si tiene la Fashion Revolution Week. La data non è casuale: ogni anno questo evento globale si svolge indicativamente intorno al 24 aprile, a ricordare il crollo di Rana Plaza avvenuto nel 2013 proprio in questa data. Lo stabilimento di Rana Plaza si trovava a Dacca, la capitale del Bangladesh: si trattava di un grande edificio dove venivano fabbricati a ritmi serrati capi d’abbigliamento destinati a numerosi negozi e brand occidentali. Negli anni l’edificio era stato oggetto di alcuni lavori di espansione illegali, che avevano portato a otto gli originari cinque piani. Il 23 aprile 2013 vennero scoperte delle crepe in alcune colonne portanti dell’edificio: l’edificio venne dichiarato non sicuro e i lavoratori furono mandati a casa. Durante la notte però una seconda ispezione ribaltò la decisione e i lavoratori furono fatti rientrare. Il mattino successivo l’edificio crollò, uccidendo 1.138 persone e ferendone oltre 2.000. Le iniziali manifestazioni dei lavoratori tessili si placarono nel giro di pochi giorni e solo pochi brand coinvolti direttamente con Rana Plaza concessero dei risarcimenti: uno dei peggiori incidenti che abbia mai coinvolto uno stabilimento d’abbigliamento non portò praticamente ad alcun cambiamento nel sistema moda del fast fashion.
Proprio nel 2013, in seguito all’incidente di Rana Plaza, nacque però il movimento Fashion Revolution, il cui eloquente mantra è
Who Made My Clothes.
La Fashion Revolution Week è proprio la settimana scelta per far sentire ancora di più la voce di questa comunità globale. Quest’anno, il focus è sulla stretta connessione tra diritti umani e diritti della natura, sulla necessità di un cambiamento nelle relazioni tra i brand, che dovrebbero passare da un principio di competizione a uno di collaborazione per fronteggiare le sfide future del settore, ma anche dei rapporti tra brand e fornitori, per una maggiore tutela dei lavoratori e del pianeta lungo tutta la filiera produttiva.
Come consumatori, quando scegliamo di acquistare un abito o un accessorio dovremmo imparare a guardare oltre lo stile, i colori o il prezzo e iniziare invece a chiederci Who Made My Clothes, chi e cosa c’è dietro a quello che acquistiamo?
Halima lavora nel team indiano di Jyoti Fair Works dal 2010 ed è specializzata in ricami
Nancy Marchini, designer di La Mia Maglietta
Monica, artigiana Masai per ALAMA
Fabbrica tessile indiana di Teemill, che realizza i capi Sustainable Gate
Vittoria e Salima del brand milanese Aequae
Sarta di Mandala a Izmir, Turchia
Emma Barnes, fondatrice di Wild Fawn, leader della sostenibilità e argentiera
Lavoratori di Evea in Perù
Muhammad Boota, lavoratore di Ethletic in Pakistan
Fornitore cinese di Lanius, specializzato in materiali sostenibili
Team Wooly Organic in Liepaja, Lettonia
Laboratorio artigianale di Ecodream a Borgo San Lorenzo, FI
Per iniziare a comprendere meglio cosa si cela dietro il mondo del fast fashion, ti consigliamo di visitare la sezione Be Conscious del nostro sito. Qui, infatti, abbiamo voluto raccontare cosa succede prima che un capo d’abbigliamento o un accessorio arrivino nelle mani di un consumatore, analizzando le catene produttive del sistema moda tradizionale e di quello ecosostenibile: perché quello che acquisti può essere simile all’apparenza, ma di certo non lo è guardando più in profondità. Le condizioni dei lavoratori sono proprio uno degli elementi che abbiamo preso in analisi, raccontando cosa avviene nelle fabbriche tessili del sud del mondo: non solo quelle dei marchi lowcost, ma spesso anche in quelle di brand d’alta moda, che meno comunemente accostiamo a fenomeni quali lo sfruttamento del lavoro. Who Made My Clothes è quindi una domanda che dovremmo porci sempre, non solo di fronte a prezzi bassi o fortemente scontati. Ma come possiamo trovare la risposta?
Un primo aiuto concreto per i consumatori è rappresentato dalle certificazioni: i piccoli simboli riportati sulle etichette, a cui magari spesso non facciamo caso, raccontano la storia alle spalle del capo d’abbigliamento che stiamo decidendo se acquistare o meno. Spesso la risposta alla domanda Who Made My Clothes è proprio qui.

Ad esempio, la certificazione Fairtrade garantisce che il prodotto che hai in mano proviene dal commercio equo e solidale, ed è quindi realizzato nel rispetto del benessere dei lavoratori e dell’ambiente. Gli standard Fairtrade, infatti, proteggono la salute dei lavoratori e la loro sicurezza, promuovendo una gestione sostenibile delle aziende agricole da cui proviene il cotone utilizzato per quel capo.

Anche la certificazione Fair Wear aiuta a rispondere alla domanda Who Made My Clothes: la Fair Wear Foundation ha infatti l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro nel settore moda in 11 aree produttive in Asia, Europa e Africa. I brand che aderiscono a questa organizzazione dimostrano quindi di voler produrre in modo etico e responsabile.

Infine, anche la certificazione GOTS, sebbene abbia un focus sul garantire la provenienza delle fibre naturali da agricoltura biologica, monitora anche l’aspetto etico della filiera produttiva, assicurando prodotti realizzati da persone che lavorano in condizioni dignitose e che ricevono una paga adeguata.
Molti dei brand che trovi nella nostra directory godono di queste certificazioni e assicurano che i capi acquistati siano stati prodotti in condizioni di lavoro dignitose e rispettando la sicurezza dei lavoratori.
Quando scegli uno di questi brand, la domanda Who Made My Clothes non porta mai con sé brutte sorprese e puoi essere certo che il tuo acquisto contribuisca a supportare un modo di lavorare etico e responsabile.
Un esempio è Aequae, un brand italiano con base a Milano: proprio qui, nella città italiana sempre di corsa per antonomasia, sarte e modelliste lavorano senza fretta in modo diffuso in una “sartoria senza pareti”, dedicando tempo e cura alle loro creazioni. La storia di Aequae inizia dall’idea di due amiche, Salima e Vittoria, che in controtendenza al sistema moda tradizionale hanno voluto creare un brand i cui abiti e accessori fossero il risultato di molteplici esperienze, stili e tradizioni e che trasmettessero il valore del tempo speso per immaginarli e realizzarli. La produzione vera e propria parte poi da materiali di riciclo e scarti di produzione a cui viene data nuova vita: tessuti dismessi, morbide sete, calde lane, tovaglie in fiandra, vecchi pizzi, scampoli da archivio, tessuti donati e recuperati da aziende tessili e abiti usati particolarmente amati. Da questi tessuti di qualità recuperati, con storie ed età diverse alle spalle, nascono creazioni uniche in cui nessun dettaglio è lasciato al caso, pensate per rispecchiare la personalità delle donne che li sceglieranno e per durare nel tempo. Le creazioni di Aequae, infatti, vengono concepite per essere transgenerazionali e vestire donne di qualsiasi età che vogliano discostarsi dalle logiche del fast fashion e dichiarare la propria indipendenza dal breve ciclo vitale della moda tradizionale. I capi del brand sono infatti pensati per non essere mai fuori moda: forti del tempo che è stato necessario per crearli, non invecchieranno in poche stagioni.
“Abiti e accessori sartoriali sostenibili realizzati con ciò che già abbiamo. Abiti che trasmettono il valore del tempo necessario per essere realizzati: un’alchimia di esperienza personale, stile e tradizione artigiana.”
Proprio la valorizzazione del tempo è uno dei punti di forza di Aequae: in un mondo in cui il fast fashion è sempre più pervadente, questo brand propone un processo esattamente opposto. Accanto ad alcuni capi ready-to-buy disponibili sullo shop online, infatti, Aequae propone anche il servizio Couture@home, una nuova modalità d’acquisto lenta e ponderata, che si basa su un confronto diretto tra cliente e sarta. In un primo incontro conoscitivo viene individuato il modello che meglio corrisponde alle esigenze, alla vestibilità e alla personalità della cliente. Vengono poi scelti i tessuti, eventualmente inglobandone anche uno proveniente da un capo usato che ha un valore personale, e i dettagli dell’abito. L’abito finito viene poi consegnato direttamente a casa ed è un vero e proprio pezzo unico, in grado di rispecchiare la personalità della donna per cui è stato creato. Aequae, insomma, racconta di una moda senza tempo: senza frenesia nella creazione dei capi, senza articoli che passano di moda in pochi anni (o anche meno) e in cui il recupero e il dare il giusto tempo al processo creativo la fanno da padrone. Tutte caratteristiche evidenti, ad esempio, nell’abito oversize Chicca realizzato in jeans, lana cotta e fresco lana: parte dei tessuti sono di recupero e provengono dagli archivi del brand e dal riciclo di alcuni abiti usati di Vera, la sarta che ha cucito a mano questo abito. L’abito può essere ordinato così come è direttamente dallo shop online, oppure può essere usato come base di ispirazione per creare un modello ex-novo creato su ordinazione specificatamente sulle richieste della cliente. Il capo ready-to-buy, oltre che sostenibile e cucito con amore, è ricco di personalità, grazie a dettagli unici come le maniche a sbuffo arricciate sui polsi e il giromanica di un grintoso color giallo. Un esempio emblematico di cosa può essere creato quando un abito è cucito lentamente, con amore e passione, e non con una logica di produzione in catena.